L’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno, detenuto a Rebibbia, scrive una lettera alle istituzioni chiedendo umanità nei penitenziari italiani.
Una denuncia vibrante e appassionata, quella contenuta nella lettera indirizzata ai Presidenti del Senato, Ignazio La Russa, e della Camera dei Deputati, Lorenzo Fontana. A firmarla è Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma e figura politica di lungo corso, insieme Fabio Falbo, detenuto con una lunga esperienza carceraria. Entrambi attualmente sono reclusi nel braccio G8 del carcere romano di Rebibbia.

Falbo è una figura di spicco all’interno di Rebibbia, perché si tratta di un detenuto che dal carcere ha saputo trarre spunto per un cambiamento radicale della propria vita: i reati a lui ascritti sono gravissimi, ma questo non gli ha impedito appunto di fare un percorso dentro il carcere che lo ha portato anche a laurearsi in legge, oltre che a essere animatore di molte iniziative sociali nel penitenziario romano.
La denuncia del sovraffollamento carcerario
Lui e Alemanno hanno scritto una lettera con un messaggio che è chiaro: il sistema penitenziario italiano è al collasso e richiede un intervento urgente e concreto. Nella missiva alle alte cariche dello Stato, i due firmatari richiamano l’attenzione sulle drammatiche condizioni di vita nelle carceri italiane, aggravate dalle alte temperature estive e dal cronico sovraffollamento. Una realtà che viene descritta con toni crudi ma realistici: celle pensate per 47mila persone che ne ospitano oltre 62mila in tutta Italia.

Le problematiche sono uguali per tutti i penitenziari italiani, nessuno escluso: spazi invivibili, acqua potabile che scarseggia, docce a singhiozzo e celle surriscaldate trasformate in “camere a gas” per la mancanza di ventilazione. “C’è un’Italia che brucia in silenzio, è quella delle carceri”, si legge nel testo e fa pensare che a firmare questa lettera sia un politico che sta scontando in carcere un residuo di pena, ma che si è fatto carico di una situazione molto più ampia.
Cosa propongono Gianni Alemanno e chi lotta per i diritti dei carcerati
Il problema non è nuovo, e si ripete ciclicamente ogni estate: suicidi, proteste, appelli, e poi il silenzio. Solo nei primi sei mesi del 2025, 38 persone si sono tolte la vita in carcere. Un dato impressionante che, se proiettato sul resto dell’anno, rischia di superare la già tragica cifra di 71 suicidi registrati nel 2024. Per le condizioni dei nostri penitenziali, l’Italia è stata condannata, ripresa e censurata da chiunque, organismi internazionali così come organizzazioni per la difesa dei diritti umani, e rischia ancora sanzioni.

Dura la critica al Ministero della Giustizia, che ha annunciato un piano da 32 milioni di euro per creare 384 posti detentivi attraverso moduli prefabbricati. Un piano che è chiaramente insufficiente visti i numeri, mentre una delle risposte più importanti sarebbe una legge sulla “liberazione anticipata speciale”, simile alla cosiddetta “legge della buona condotta”. Si tratta di un provvedimento volto ad aumentare temporaneamente lo sconto di pena per i detenuti che dimostrano un comportamento irreprensibile.
Non si parla quindi di indulto o amnistia, ma di una misura selettiva e meritocratica, già al centro di una proposta di legge presentata da Roberto Giachetti, deputato di Italia Viva, col sostegno di Rita Bernardini di +Europa e dell’associazione “Nessuno Tocchi Caino”, impegnata in questi giorni in uno sciopero della fame sul tema. “Non chiediamo impunità, chiediamo umanità” – chiosa la lettera – “Non chiediamo clemenza, chiediamo giustizia. Nessuna pena può diventare tortura, nessuna cella può diventare una tomba”.